NATRUE

Quanto si possono considerare attendibili affermazioni come “commercio equo” o “prodotto senza sfruttamento del lavoro”? Negli ultimi anni, la domanda di pratiche di approvvigionamento etico è aumentata in modo rilevante in numerosi settori. Tali pratiche consistono nell’acquisizione di beni e servizi nel rispetto dei diritti umani, delle condizioni di lavoro eque, di una remunerazione adeguata e della sostenibilità ambientale. Un approccio particolarmente rilevante in settori come la cosmetica, la moda e l’alimentazione, dove le filiere produttive si estendono spesso a Paesi in via di sviluppo, con rischi più elevati di violazioni sociali e ambientali. Per rispondere a queste criticità, l’Unione Europea e numerose organizzazioni private hanno introdotto regolamenti, standard e iniziative volte a promuovere una maggiore responsabilità nelle pratiche di acquisto.

Questo articolo offre una panoramica sugli sviluppi normativi più recenti e sulle principali iniziative volontarie messe in campo per tutelare i diritti delle persone coinvolte nella produzione e per proteggere l’ambiente lungo tutta la catena del valore.

1-. I regolamenti dell’UE sull’Approvvigionamento Etico
Negli ultimi anni, l’Unione Europea ha compiuto notevoli progressi nell’introduzione di norme mirate a garantire il rispetto dei diritti umani e degli standard ambientali lungo le catene di approvvigionamento globali. Sono già in vigore, o in fase di sviluppo, diversi regolamenti che, nel loro insieme, mirano a costruire un quadro normativo coerente e incisivo per promuovere una maggiore responsabilità d’impresa a livello europeo e internazionale.

  • Direttiva sulla Due Diligence in materia di sostenibilità d’impresa (CSDDD)

La Direttiva sulla Due Diligence in materia di sostenibilità d’impresa (Direttiva (EU) 2024/1760), entrata in vigore il 25 luglio 2024, stabilisce un quadro normativo obbligatorio per promuovere una condotta imprenditoriale responsabile e pratiche sostenibili. La Direttiva impone alle grandi imprese, sia dell’UE che di Paesi terzi, l’obbligo di identificare, prevenire e mitigare gli impatti negativi sui diritti umani e sull’ambiente derivanti dalle proprie attività, da quelle delle controllate e dalle relazioni commerciali lungo le catene globali del valore. In altre parole, le imprese sono chiamate a prendersi la responsabilità non solo degli impatti ambientali e sociali diretti, ma anche di quelli generati dai propri fornitori.

Chi è soggetto agli obblighi? – Le nuove regole si applicano a:

  • Imprese dell’UE con oltre 1.000 dipendenti e un fatturato netto mondiale superiore a 450 milioni di euro;
  • Imprese non appartenenti all’UE che generano oltre 450 milioni di euro di fatturato all’interno del mercato comunitario.

Sebbene le PMI non siano direttamente coinvolte, la Direttiva prevede misure di supporto per quelle che risultano interessate indirettamente. L’attuazione avverrà in modo graduale, in base alla dimensione dell’impresa: i primi obblighi entreranno in vigore il 26 luglio 2025 per le grandi aziende con oltre 5.000 dipendenti e un fatturato netto di 1,5 miliardi di euro.

Le imprese dovranno anche sviluppare piani di transizione climatica in linea con l’obiettivo di raggiungere la neutralità climatica nel 2050. Le autorità nazionali di vigilanza saranno responsabili del monitoraggio dell’adesione alle normative e potranno applicare sanzioni e multe in caso di violazioni.

Con l’introduzione di un quadro giuridico armonizzato, la Direttiva punta a rafforzare la responsabilità d’impresa, garantire una concorrenza leale e contribuire a una transizione giusta verso un’economia sostenibile.

  • Direttiva sulla Rendicontazione di Sostenibilità dell’Unione Europea (CSRD)

Accanto alla CSDDD, la CSRD (Direttiva (EU) 2022/2464) rafforza la trasparenza delle pratiche di sostenibilità, imponendo alle imprese l’obbligo di pubblicare rapporti verificati da organismi terzi. In questi documenti devono essere dettagliati i rischi sociali e ambientali a cui l’azienda è esposta, nonché gli impatti delle sue attività su persone e ambiente. L’obiettivo è fornire a investitori, organizzazioni della società civile, consumatori e altri stakeholder informazioni affidabili, comparabili e coerenti con gli obiettivi del Green Deal europeo.

Chi è soggetto agli obblighi? La Direttiva si applica alle imprese dell’UE che soddisfano almeno due delle seguenti tre condizioni:

  • 43 milioni di dollari di ricavi netti;
  • 22 milioni di dollari di attivi;
  • 250 o più dipendenti.

La normativa si estende anche alle imprese non appartenenti all’UE che operano in modo significativo nel mercato comunitario, comprese quelle con una presenza fisica all’interno dell’Unione.

Le prime imprese interessate dalla Direttiva CSRD dovranno applicare le nuove disposizioni a partire dall’esercizio finanziario 2024, con la pubblicazione dei relativi rapporti nel 2025. Tali rapporti dovranno seguire gli European Sustainability Reporting Standards (ESRS), sviluppati in bozza da EFRAG (European Financial Reporting Advisory Group), un organismo indipendente che riunisce vari stakeholder.

Il 26 febbraio 2025, la Commissione Europea ha adottato un pachetto di proposte per semplificare le norme di rendicontazione della sostenibilità nell’UE. Tra le modifiche principali figura l’esclusione di circa l’80% delle imprese[1] dall’ambito di applicazione della CSRD, limitando così gli obblighi di rendicontazione alle aziende di maggiori dimensioni, ovvero quelle che hanno un impatto più rilevante su persone e ambiente. Inoltre, il pacchetto prevede misure volte a ridurre l’onere amministrativo per le imprese più piccole coinvolte nella catena del valore.

  • Regolamento sul divieto di prodotti realizzati con sfruttamento del lavoro sul mercato unico (PPMFLR)

Lo sfruttamento del lavoro continua a rappresentare una grave problematica su scala globale. Secondo le stime dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro, circa 27,6 milioni di persone nel mondo sono vittime di lavoro forzato, di cui 3,3 milioni sono bambini[2]. Questa forma di sfruttamento è diffusa in diversi settori, tra cui agricoltura, manifattura, estrazione mineraria e industria tessile, e si manifesta spesso all’interno di catene di approvvigionamento globali complesse.

Nel dicembre 2023 è stato adottato il Regolamento sullo Sfruttamento del lavoro (PPMFLR) che si applica a tutte le imprese che operano nell’Unione Europea, indipendentemente dal fatturato o dal Paese di incorporazione. Sono incluse anche le aziende che commercializzano prodotti tramite internet o altri canali. Il divieto entrerà in vigore a partire dal 14 dicembre 2027.

Nel novembre 2024, l’UE ha introdotto un quadro normativo volto a vietare lo sfruttamento del lavoro nella produzione di beni immessi nel mercato europeo, così come all’interno delle catene di approvvigionamento degli operatori stabiliti nell’Unione. In particolare, la normativa vieta l’immissione, la distribuzione e l’esportazione dal mercato europeo di qualsiasi prodotto realizzato mediante lavoro forzato.

Per garantire l’efficacia del provvedimento, le autorità nazionali competenti saranno incaricate di condurre indagini e, ove necessario, rimuovere i prodotti non conformi dal mercato. In questo modo si rafforza la responsabilità delle imprese e si promuovono pratiche di commercio etico. Inoltre, la Commissione Europea istituirà un database aggiornato regolarmente con informazioni verificabili sui rischi legati allo sfruttamento del lavoro, associati a specifiche regioni geografiche e categorie di prodotti, al fine di facilitare l’individuazione e la prevenzione delle violazioni.

2-. Le iniziative private per la promozione dell’etichettatura etica
Mentre la legislazione dell’Unione Europea svolge un ruolo fondamentale nel promuovere e regolamentare l’approvvigionamento etico, numerose iniziative private contribuiscono a rafforzare questi sforzi attraverso strumenti complementari. Si tratta di schemi volontari che offrono sistemi di certificazione per aziende e prodotti conformi a determinati standard etici, con l’obiettivo di garantire maggiore trasparenza e responsabilizzare i consumatori nelle loro scelte d’acquisto.

  • UEBT (Union for Ethical Bio Trade)

L’UEBT è un’organizzazione non profit basata sull’adesione volontaria, attiva a livello globale e impegnata nella promozione dell’approvvigionamento etico nei settori della cosmetica, della cura della persona e dell’alimentazione. Il suo Standard riconosciuto a livello internazionale, definisce le migliori pratiche per l’approvvigionamento di ingredienti botanici, con particolare attenzione alla tutela della biodiversità e alla promozione del commercio equo. Lo standard si applica all’intero ciclo di vita degli ingredienti – dalla coltivazione o raccolta, alla ricerca, trasformazione e commercializzazione – ed è stato sviluppato attraverso un processo partecipativo che ha coinvolto diversi stakeholder. Nel 2023, i membri dell’UEBT hanno operato per migliorare le pratiche in oltre 1.100 catene di approvvigionamento in più di 70 Paesi, con verifiche o certificazioni effettuate in oltre 550 catene relative alla coltivazione o alla raccolta selvatica in tutto il mondo[3].

  • Certificazione Fairtrade

Fairtrade è un’etichetta di sostenibilità riconosciuta a livello globale, nata con l’obiettivo di promuovere l’approvvigionamento etico e rendere il commercio più equo per agricoltori e lavoratori nei Paesi in via di sviluppo. La certificazione richiede alle imprese il rispetto di criteri rigorosi, tra cui il pagamento di salari equi, la garanzia di condizioni di lavoro sicure e il sostegno a iniziative di sviluppo comunitario. Diffuso principalmente nel settore alimentare e delle bevande, il marchio Fairtrade certifica prodotti come caffè, cacao, zucchero, riso e banane. A partire dal 2023, quasi 2 milioni di agricoltori e lavoratori hanno beneficiato del programmam[4].

  • Certificazione FairWild

La certificazione FairWild garantisce la raccolta sostenibile delle piante selvatiche, tutelando al contempo i diritti e i mezzi di sussistenza delle comunità locali e dei lavoratori coinvolti. È particolarmente rilevante per settori che utilizzano ingredienti selvatici come bibhitaki, sambuco, dente di leone, ginepro o salvia. Attraverso un sistema di certificazione indipendente, FairWild assicura che le pratiche di raccolta non compromettano la biodiversità e che i raccoglitori siano equamente retribuiti. Entro la fine del 2023, il programma ha certificato 59 specie vegetali e protetto oltre 1,7 milioni di ettari di aree selvatiche attraverso una raccolta sostenibile delle piante spontanee [5].

  • Certificazione Fair for Life

Lanciato nel 2006, Fair for Life è un programma di certificazione del commercio equo che abbraccia agricoltura, produzione e distribuzione. È stato creato in risposta alla crescente domanda da parte del settore dell’agricoltura biologica per un approccio integrato e di commercio equo. A differenza di altre certificazioni, Fair for Life si applica all’intera catena di custodia, coinvolgendo produttori, trasformatori, commercianti e titolari di marchi. La certificazione viene rilasciata da enti terzi e mira a garantire condizioni di lavoro dignitose, sostenibilità ambientale e giustizia economica. Ad oggi, oltre 700 aziende in più di 70 paesi aderiscono al programma[6].

  • Iniziativa per la Mica sostenibile (RMI)

La mica, un minerale impiegato in numerosi settori come cosmetici decorativi, automotive, edilizia ed elettronica, è spesso estratta in condizioni pericolose, con frequenti casi di lavoro minorile e ambienti di lavoro precari. L’India, principale produttore mondiale, fornisce circa il 60% dell’offerta globale[7], coinvolgendo migliaia di bambini in attività estrattive informali.

Fondata nel 2017, la Responsible Mica Initiative (RMI) rappresenta uno sforzo globale guidato dall’industria per creare una filiera della mica equa, responsabile e sostenibile. L’iniziativa si concentra in particolare sul contesto indiano e mira a eliminare le condizioni di lavoro inaccettabili e il lavoro minorile entro il 2030. RMI riunisce oltre 90 organizzazioni attive in diversi settori, governi e società civile[8].

3-. Norme ISO per l’Approvvigionamento Etico
L’ Organizzazione Internazionale per la Standardizzazione (ISO), organismo indipendente e non governativo a livello globale, ha sviluppato numerosi standard che supportano l’implementazione di pratiche di approvvigionamento etico, aiutando le organizzazioni a dimostrare concretamente il proprio impegno verso la sostenibilità.

Tra questi, lo standard ISO 20400, fornisce linee guida per l’approvvigionamento sostenibile, incoraggiando le imprese a integrare considerazioni ambientali, sociali ed economiche nei processi decisionali. Offre anche indicazioni pratiche per la gestione dei rischi legati a pratiche non etiche. Un altro gruppo rilevante è rappresentato dalla serie ISO 14020, che tratta le etichette ambientali e le dichiarazioni correlate.

Oltre agli standard specifici per l’approvvigionamento, l’ISO ha sviluppato quadri di riferimento per promuovere la sostenibilità lungo l’intera catena del valore, dall’estrazione delle materie prime alla distribuzione del prodotto finito. Nell’agosto 2019, ha pubblicato ISO/TS 17033, la prima specifica tecnica dedicata ai reclami etici e alle informazioni di supporto. Questo standard definisce principi e requisiti per produttori, importatori, distributori e altri soggetti che formulano dichiarazioni etiche. Nel 2020, è stato introdotto ISO 22095 sulla terminologia e i modelli della catena di custodia, con l’obiettivo di garantire chiarezza e affidabilità nelle affermazioni associate a prodotti con caratteristiche sostenibili.

4-. Conclusioni
Il panorama dell’approvvigionamento etico sta evolvendo rapidamente, con quadri legislativi e iniziative private che giocano un ruolo fondamentale nel plasmare il futuro delle pratiche aziendali responsabili. Gli sforzi normativi dell’UE sono essenziali per garantire che le aziende operanti in Europa rispettino gli standard etici, tutelando i diritti umani e l’ambiente. Tuttavia, le catene di approvvigionamento globali sono spesso complesse e articolate, rendendo la trasparenza una sfida. Senza controlli rigorosi, persiste il rischio di mancanza di responsabilità e applicabilità. In questo contesto, le iniziative private possono colmare le lacune normative, certificando le aziende che adottano pratiche di approvvigionamento etico. Tali schemi, spesso focalizzati su questioni specifiche, offrono ai consumatori la garanzia che i prodotti acquistati siano stati ottenuti in modo responsabile e sostenibile.

Nonostante la crescente diffusione di etichette non verificate, il rischio di “greenwashing” e “social-washing” sarà regolato dalla Direttiva (EU) 2024/825 a partire dalla fine di settembre 2026. Tuttavia, la certificazione dei prodotti provenienti da approvvigionamento etico potrebbe influire sull’accessibilità economica per i consumatori e sulle opportunità per le aziende. Per questo motivo, è cruciale raggiungere un equilibrio chiaro. Strumenti innovativi come l’intelligenza artificiale (AI) e la blockchain potrebbero ridurre i costi senza compromettere l’integrità della catena di custodia.

Nei prossimi anni, le aziende dovranno dare priorità alla trasparenza, alla due diligence e alla sostenibilità per rimanere competitive in un mercato sempre più orientato verso l’approvvigionamento etico. Allineando le loro pratiche alle normative dell’UE e supportandole con schemi di certificazione privati, le aziende possono contribuire a un’economia globale più etica e sostenibile, con una maggiore attenzione all’ambiente e al benessere delle generazioni future. Per i consumatori, che apprezzano sempre di più i marchi che riflettono i loro valori, le aziende che investono in un reale approvvigionamento etico – piuttosto che farlo per semplice conformità – sono destinate a guadagnare fiducia e lealtà. Questo impegno verso la trasparenza e l’azione proattiva non solo rafforzerà il loro marchio, ma genererà anche ritorni positivi sugli investimenti.

Riferimenti:

[1] https://ec.europa.eu/commission/presscorner/detail/en/ip_25_614

[2] https://www.ilo.org/topics-and-sectors/forced-labour-modern-slavery-and-trafficking-persons

[3] https://uebt.org/annual-report-2023

[4] https://www.fairtrade.net/en/why-fairtrade/impact/key-figures-at-a-glance.html

[5] https://static1.squarespace.com/static/5bec424b297114f64cb908d8/t/6696a35c92271e77550d9d3b/1721148265768/FW_IMPACT+REPORT+2023_60339055.pdf

[6] https://www.fairforlife.org/pmws/indexDOM.php?client_id=fairforlife&page_id=home

[7] https://www.dol.gov/sites/dolgov/files/ILAB/Supply-Chain-India-Mica-508.pdf

[8] https://responsible-mica-initiative.com/membership/membership-current-members/


Article written by Dr Mark Smith, NATRUE Director General, and Paula Gómez de Tejada, NATRUE Global Communications and Public Relations Manager. Originally published in Kosmetika magazine (in Italian)

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